THE CELTIC VIOL
Jordi Savall
17,99€
Esaurito
Referència: AVSA9865
- Jordi Savall
- Andrew Laurence-King
La musica esprime ed estende ciò che la parola non arriva a dire, e il tempo filtra e spoglia queste melodie, trasmesse per tradizione orale, di tutto ciò che non è essenziale. È così che queste musiche, di autori spesso rimasti anonimi, sono diventate, grazie alla loro vitalità, bellezza, carica emotiva e fascino, indispensabili alla celebrazione dei momenti più significativi delle varie tappe della realtà quotidiana e della vita dell’uomo. Canzoni per vincere la tristezza o celebrare le buone notizie, danze per festeggiare i momenti di felicità e di gioia, lamenti per superare lo sconforto per la perdita di una persona cara o il ricordo di un evento tragico, queste opere meravigliose, e tuttavia fragili, rappresentano l’apporto sensibile e più personale di culture spesso emarginate o perseguitate, alla storia della creazione musicale. Restano e resteranno nei nostri cuori, come le vere voci e lo spirito essenziale di una civiltà che ha saputo e sa mantenere viva, grazie alla musica, la memoria e l’anima della sua identità storica.
The man that hath no music in himself,
Nor is not moved with concord of sweet sounds,
Is fit for treasons, stratagems, and spoils;
The motions of his spirit are dull as the night,
And the affections dark as Erebus
Let no such man be trusted. Mark the music.
William Shakespeare, The Merchant of Venice, Act V, Scene 1
L’uomo che non ha musica nell’animo,
né è commosso dall’accordo di dolci suoni,
è fatto per tradimenti, malaffare e razzie;
i moti del suo spirito son foschi come la notte,
e i suoi affetti oscuri come Erebo.
Non fidarti di un uomo di tal fatta. Seguiamo la musica.
William Shakespeare, Il Mercante di Venezia, Atto V, Scena 1
Se il viso è lo specchio dell’anima, la musica di un popolo è il riflesso dello spirito della sua identità. Ha un’origine individuale ma prende forma nel tempo come immagine dell’insieme di uno spazio culturale proprio ed unico. Ogni musica trasmessa e conservata per tradizione orale, è il risultato di una felice sopravvivenza, l’esito di un lungo processo di selezione e di sintesi. Al contrario di certe culture orientali che si sono sviluppate soprattutto in un ambito di tradizione orale, nel mondo occidentale soltanto le musiche dette tradizionali, popolari o folcloristiche hanno saputo conservarsi grazie a questi meccanismi di trasmissione non scritta.
L’invenzione della notazione musicale è un fenomeno legato molto spesso ai circoli sociali letterari, che hanno consentito a certe culture, come quelle di Cina, Corea, Giappone ed Europa occidentale, di sviluppare, fin da tempi molto remoti, vari sistemi di notazione che servivano in situazioni assai diverse. Altre culture, come quelle dei paesi del medio oriente – eccetto la Turchia – o del sud e del sud-ovest asiatico, non l’hanno sviluppata che molto poco, prima degli ultimi 100 anni. Nel mondo della musica “colta” dell’Europa occidentale, la comunicazione musicale basata sul “non scritto” è perdurata fino alla fine del XVII secolo, ma solamente nelle pratiche legate all’improvvisazione ed alla realizzazione degli accompagnamenti sul basso continuo, negli ambienti di creazione musicale legati alle istituzioni del potere spirituale e secolare (la Chiesa e la Corte) e più a lungo, dal XVII (in Inghilterra) e soprattutto nel XIX secolo (in Germania), nei circoli eminentemente borghesi. La scrittura musicale ha permesso un formidabile sviluppo delle forme e degli strumenti, ma allo stesso tempo ha contribuito a relegare nell’oblio e a confinare in un ambito secondario tutte le musiche vive che accompagnavano quotidianamente l’esistenza della maggioranza delle persone; le musiche del popolo.
È per questo che le musiche celtiche per il “fiddle”, o violino, della Scozia e dell’Irlanda (e anche quelle provenienti delle comunità di emigranti da questi paesi all’America del Nord), costituiscono un caso unico nell’Europa occidentale, e uno dei più ricchi e più bei patrimoni tra tutte le tradizioni musicali viventi del nostro tempo. Queste migliaia di Arie, di Pastorali, Lamenti, Hornpipe, Reel, Rant, Gighe ecc., conservate dalle diverse tradizioni orali, trasmesse con amore di padre in figlio, e con perseveranza da una generazione all’altra, sono in realtà delle vere e proprie musiche superstiti, musiche che hanno avuto il privilegio – per noi la fortuna – di sopravvivere all’inevitabile e costante amnesia culturale dell’uomo, e alla sua follia globalizzatrice.
Così come sono stato sedotto e affascinato, nel 1965, dalla voce dimenticata della viola da gamba, fin dai nostri primi concerti e registrazioni con Montserrat Figueras e Hespèrion XX, già nel 1975, abbiamo deciso di incorporare – accanto al repertorio delle musiche della Corte e della Chiesa –, le meravigliose musiche degli ebrei spagnoli, espulsi brutalmente dalla Penisola Iberica nel 1492, conservate per tradizione orale, lungo più di cinque secoli, nelle varie comunità sefardite stabilitesi tutto intorno al Mediterraneo. Vale la pena di ricordare che, salvo alcune eccezioni (Falla, Bartók, Villa-Lobos, Kodaly, ecc.), l’ingiusto giudizio su queste musiche dette “popolari” o “folcloristiche”, le ha relegate inevitabilmente in un universo proprio, senza molta comunicazione, e soprattutto senza considerazione da parte del mondo della musica cosiddetta “classica”. D’altra parte, la terribile amnesia causata dalla perdita della conoscenza delle antiche pratiche, ci ha impedito spesso di comprendere il reale valore perfino di opere di musicisti molto noti come O’Carolan e altri. Opere conservate magari solamente nella loro versione melodica, il che spiega come anche in un importante Dizionario di Musica si possa leggere, a proposito delle opere di O’Carolan, che “unfortunately most are only in single line form, so that it is not definitely known how he harmonized or accompanied his melodies” (“sfortunatamente la maggioranza sono soltanto nella forma di una singola linea, sicché non è chiaramente noto come egli armonizzasse o accompagnasse le sue melodie.”). Certamente, è un peccato non sapere in che modo esatto fosse realizzato l’accompagnamento del tal pezzo, ma non va dimenticato che in molte di queste musiche la sola melodia, per la sua bellezza e intensità emotiva, è autosufficiente. Allo stesso tempo, possiamo dire che oggi, per i pezzi che richiedono un accompagnamento, abbiamo una conoscenza della pratica dell’accompagnamento improvvisato nei secoli XVII e XVIII, tale da potere ricostituire delle versioni pienamente soddisfacenti sul piano artistico. È per la stessa ragione che le sei Suite per violoncello solo di J.S. Bach furono “completate” con un accompagnamento per piano nel XIX secolo, come musica d’arte “dimenticata” per più di due secoli. Si dovette aspettare fino alla fine del XIX perché fossero riscoperte (nel 1890!) da un giovane Pau Casals che, dieci anni più tardi, intorno al 1900, comincerà a farle conoscere al mondo.
Il mio primo incontro con la musica celtica risale da un lato agli anni 1977-78, in occasione della nostra visita a Kilkenny per un concerto con Hespèrion XX. Durante questo Festival le strade, le piazze e i pub erano riempiti di musicisti di ogni tipo (violini, flauti…) che suonavano ininterrottamente da soli o con un semplice accompagnamento (di una chitarra o di una piccola arpa). Quale vitalità, quale magia, il vedere tanti musicisti vivere la musica con intensità ed emozione! L’altro incontro si è realizzato e continua tuttora attraverso l’ascolto di registrazioni storiche degli anni 1920-30, come quelle fatte dai geniali James Schott Skinner e Joe MacLean, e quello dei concerti di complessi come The Chieftains e altri.
Durante questi ultimi trent’anni sono stato anche assolutamente affascinato dal repertorio britannico per la viola. Ho quindi studiato, interpretato e registrato molta di questa musica per viola sola o per consort di viole; da Christopher Tye a Henry Purcell passando per Tobias Hume, Alfonso Ferrabosco, William Corkine, William Brade, John Dowland, William Byrd, Thomas Ford, Orlando Gibbons, John Jenkins, William Lawes, John Playford, Matthew Locke… e anche autori anonimi elisabettiani o giacobiti. Ma è la con scoperta dei manoscritti, come il Manchester Gamba Book, con più di 30 differenti modi di accordare la viola (tuning o “scordatura”), e più precisamente i Bagpipe tunigs, che ho cominciato ha comprendere che anche per la viola c’erano dei precisi rapporti con un’antica tradizione celtica, che era stata dimenticata così come si era dimenticata l’esistenza stessa dello strumento dopo la morte degli ultimi violisti come K. F. Abel, che in vita stupivano per la bellezza ed espressività delle improvvisazioni con la viola da gamba. Scrive Burney: “I have heard him modulate in private on his six-stringed base with such practical readiness and depth of science, as astonished the late Lord Kelly and Bach, as much as myself.” (“L’ho sentito modulare in privato sul suo basso a sei corde con tale immediatezza e con una sapienza così profonda da lasciare sbalorditi Lord Kelly e Bach tanto quanto me”.).
In questi ultimi anni ho cominciato ha studiare innanzi tutto le raccolte del XVII secolo contenenti musiche scozzesi ed irlandesi, e immediatamente ho scoperto la straordinaria ricchezza delle principali collezioni di musica celtica, come quelle di George Farquhar Graham The Songs Of Scotland (Edimburgo, 1848), George Petrie Complete Collection of Irish Music (Londra, 1851, ripubblicata nel 1902-05), William Bradbury Ryan’s Mammoth Collection (Boston, 1883), O’Neill Music Of Ireland (New York, 1903) e The Dance Music Of Ireland (New York, 1907); P.W. Joyce Old Irish Folk Music and Songs (Londra 1909), James Hunter The Fiddle Music Of Scotland (Edimburgo, 1979), Alastair J. Hardie The Caledonian Companion (Edimburgo, 1981), Aloys Fleischmann Sources Of Irish Traditional Music, c. 1600-1855 (New York e Londra 1998), ed altre.
Per prima cosa sono stato sorpreso nel constatare una tale abbondanza di materiale storico documentato: l’insieme di tutte queste collezioni totalizza più di 10.000 opere! Tutte di grande qualità artistica. Ho trovato anche molto interessante il fatto di scoprire che certe melodie celtiche avevano delle figure molto simili a quelle di antichi canti della Catalogna, come si verifica tra El Testament d’Amèlia e Màiri Bhàn Òg. L’impresa più difficile è però stata quella di limitare la selezione di musiche, per questo CD, ad una trentina di brani più rappresentativi, provenienti da epoche diverse e di differenti origini, e poi quella di scegliere i differenti tunings adatti a ciascun tipo di musica. Perciò ho scelto di cominciare col repertorio eseguibile sul dessus de viole, utilizzando tre differenti strumenti; una viella del XVI secolo per i pezzi più antichi, e due dessus de viole di Nicholas Chappuy, uno a 5 corde del 1730 e l’altro a 6 corde del 1750, accordati con diverse “scordature”. Ho scelto di presentare un totale di 29 pezzi, dei quale 12 eseguiti con la viola sola e 17 accompagnati dall’arpa irlandese e dal salterio di Andrew Lawrence-King, che ha realizzato tutti gli accompagnamenti improvvisando secondo le informazioni disponibili sulle modalità dell’epoca e le pratiche tradizionali. È un approccio volutamente sobrio, per meglio mostrare che tutto l’essenziale di queste musiche è in loro stesse, nella forza e nella magia del loro discorso musicale. Sono anche ben cosciente dell’enorme distanza che ci può essere tra le esecuzioni di un musicista che è nato dentro a questa musica e quelle di uno che l’ha appresa con lo studio di alcuni anni, e che sa che molto gli resta ancora da imparare. Spero solamente che la mia esperienza con le musiche del Rinascimento e del Barocco mi abbiano permesso di dare una visione differente da quelle che si sentono nelle esecuzioni moderne. In sostanza, questa registrazione è soprattutto un fervente omaggio a quest’arte della trasmissione, al talento di tutti quei musicisti che hanno creato questo meraviglioso patrimonio e anche a tutti gli altri, non meno importanti, che hanno saputo trasmetterlo di generazione in generazione, per custodirlo pienamente vivo.
La musica esprime ed estende ciò che la parola non arriva a dire, e il tempo filtra e spoglia queste melodie, trasmesse per tradizione orale, di tutto ciò che non è essenziale. È così che queste musiche, di autori spesso rimasti anonimi, sono diventate, grazie alla loro vitalità, bellezza, carica emotiva e fascino, indispensabili alla celebrazione dei momenti più significativi delle varie tappe della realtà quotidiana e della vita dell’uomo. Canzoni per vincere la tristezza o celebrare le buone notizie, danze per festeggiare i momenti di felicità e di gioia, lamenti per superare lo sconforto per la perdita di una persona cara o il ricordo di un evento tragico, queste opere meravigliose, e tuttavia fragili, rappresentano l’apporto sensibile e più personale di culture spesso emarginate o perseguitate, alla storia della creazione musicale. Restano e resteranno nei nostri cuori, come le vere voci e lo spirito essenziale di una civiltà che ha saputo e sa mantenere viva, grazie alla musica, la memoria e l’anima della sua identità storica.
JORDI SAVALL
Bellaterra, 20 febbraio 2009
Traduzione: Luca Chiantore / MUSIKEON.NET
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