MARE NOSTRUM. Orient-Occident : Dialogues

Hespèrion XXI, Jordi Savall, Montserrat Figueras

28,11


Refèrencia: AVSA9888

  • Montserrat Figueras, Lior Emaleh
  • Hespèrion XXI
  • Jordi Savall

L’idea essenziale dei nostri Libri/CD, e specialmente di questo, dedicato alla civiltà mediterranea, è la ricerca degli elementi che consentono di stabilire dei legami tra la musica e la storia. O, meglio ancora, di rivivere e comprendere i momenti importanti della nostra memoria storica, grazie all’emozione ed alla bellezza della musica e grazie alla luce portata da riflessioni e commenti di storici, filosofi, scrittori e poeti contemporanei.


“Senza i sensi non c’è memoria,
e senza la memoria non c’è pensiero”
Voltaire, Aventure de la mémoire, 1773

L’idea essenziale dei nostri Libri/CD, e specialmente di questo, dedicato alla civiltà mediterranea, è la ricerca degli elementi che consentono di stabilire dei legami tra la musica e la storia. O, meglio ancora, di rivivere e comprendere i momenti importanti della nostra memoria storica, grazie all’emozione ed alla bellezza della musica e grazie alla luce portata da riflessioni e commenti di storici, filosofi, scrittori e poeti contemporanei.

La nostra scelta musicale per illustrare questa complessa realtà si è basata su due fonti principali: le tradizioni orali sefardite, berbere, greche, arabe, ebraiche, andaluse e catalane, e i repertori manoscritti medievali, di Kantemiroglu e di altri compositori come il grande maestro greco Angeli o il sultano ottomano Selim III, oltre ai taksims (improvvisazioni) che precedono i makams ottomani, così come le improvvisazioni su temi popolari, romances, melodie sefardite e sulla meravigliosa melodia catalana El cant dels aucells. A una prima versione strumentale su strumenti antichi, fa seguito una versione contemporanea su una poesia di Manuel Forcano, che presenta un dialogo tra la voce di Ferran Savall e il kanun, l’oud, il kaval, il contrabbasso e la percussione.

Le civiltà e i popoli del “Mare Nostro” si sono forgiati a partire da due grandi flussi indipendenti ma sempre comunicanti: le invasioni e le migrazioni, e gli sviluppi delle tre principali religioni. Ciò è dovuto al fatto che la storia del Mediterraneo, come ha sottolineato Maurice Aymard, è soprattutto la storia delle molteplici migrazioni, invasioni, espansioni e diaspore; è stata modellata tanto dall’arrivo di popoli nuovi, quanto dalle espansioni successive: greca, fenicia, romana, araba, cristiana, ottomana. La maggioranza dei popoli che ci vivono oggi è arrivata dell’esterno, in data abbastanza recente perché, dal secondo millennio prima della nostra era fino al Medioevo, si possa datare la loro venuta con una certa precisione.

Ma il Mediterraneo è anche la storia della mitologia, della filosofia, delle antiche credenze, del pensiero spirituale e dei conflitti strettamente legati alle tre principali religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islam. Come afferma giustamente Roger Arnaldez, “qualunque sia l’origine delle religioni, sembra che il politeismo corrisponda bene all’esperienza pratica di uomini alle prese con una natura ostile, arena dove si combattono dei poteri opposti, i venti e le acque, i fuochi del cielo e della terra, trascinando nella loro mischia furiosa i destini e i lavori degli uomini. Le guerre incessanti tra i popoli erano esse stesse immagine di questa costante discordia.” I filosofi, da parte loro, si sono cimentati per comprendere il caos. Per Eraclito, “Polemos (la guerra) è il padre e il re di ogni cosa”, ed egli cerca ardentemente i principi della concordia in ciò che chiama “Il Logos.” Ma solamente “ciò che lotta con sé stesso può accordarsi: movimenti in senso contrario come per l’arco e la lira”. Ed egli aggiunge che “è da ciò che è in lotta che nasce la più bella armonia: tutto si fa tramite la discordia.” L’evoluzione del pensiero greco verso la concezione di un Dio unico fu probabilmente molto ritardata dai particolarismi religiosi delle città. È con l’impero di Alessandro che nasce un certo cosmopolitismo, che ha avuto una sicura influenza nell’affermazione dell’idea monoteista in ambito greco.

Il Dio unico è rivelato agli ebrei, ma è un Dio geloso che vuole essere il solo a ricevere un culto dagli uomini. È un monoteismo molto esclusivo, esige dal suo popolo che si distolga totalmente dagli “idoli” e anche che si allontani da tutti i popoli idolatri. A differenza di ciò che è accaduto per i greci, per i quali l’evoluzione è più un’avventura del pensiero che una peripezia storica, i Figli dell’Israele sono arrivati a concepire questo Dio per una lotta reale contro i popoli stranieri che li circondavano e minacciavano la loro esistenza, la loro libertà nazionale e anche la loro fedeltà a Dio, un Re delle Nazioni, che resta fondamentalmente il Re di Israele, Re che ha fatto col suo popolo un’alleanza nella Legge. Negli ultimi secoli dell’antichità e nei primi anni dell’era cristiana, gli ebrei si erano sparsi tutto intorno al Mediterraneo, e in particolare ad Alessandria e a Roma, realizzando così la prima diaspora. Come spiega Roger Arnaldez, l’opera magistrale di Filone di Alessandria fu possibile grazie alla presenza importante di popolazione ebraica in questa città e al fatto che egli era di cultura greca. Filone vuole rendere accessibile allo spirito ellenistico, nutrito di platonismo, di stoicismo, ma anche curioso dei misteri delle religioni orientali, l’idea profonda del pensiero mosaico e il senso simbolico della Legge.

Quando nacque Gesù di Nazareth, il giudaismo attraversava crisi sociali e politiche, ed era in fermento sotto l’effetto di concezioni religiose diverse. Farisei, sadducei e zeloti si opponevano gli uni agli altri, e c’erano anche gli esseni, che conosciamo meglio per i manoscritti del Mar Morto: terapeuti che si ricollegavano al movimento di cui Filone ha parlato nel De Vita Contemplativa. Il Dio unico predicato dal Cristo è certamente quello di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Ma non è più il Dio esclusivo di quelli con cui aveva fatto alleanza. Si innalza al di sopra delle mischie umane: “Dio è amore”, ecco la grande e nuova rivelazione che annuncia Giovanni nella sua prima Epistola (4,8), adoperando però la parola “agape” per eliminare ogni riferimento alle teogonie e alle cosmogonie fondate su immagini sessuali. Gesù rivela il mistero della vita intima di questo Dio vivente che annunciavano i profeti, e insegna che l’uomo è chiamato a partecipare a questa vita attraverso l’amore: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio” (ibidem, 4, 7-10). Nato nel giudaismo, il cristianesimo visse inizialmente in un ambiente giudaico-cristiano. Ma san Paolo, che andava più lontano di Filone di Alessandria, comprese che la sua fede non poteva essere ricevuta dai Gentili se non la si staccava dalla Legge mosaica: “Perché consideriamo che l’uomo è giustificato dalla fede al di fuori delle opere della legge. Dio sarebbe forse solamente il Dio degli ebrei? Non lo è anche dei Gentili? Sì, lo è anche dei Gentili, poiché Dio è uno”.

Il cristianesimo si affermò politicamente con l’imperatore Costantino. Si comprende allora come il popolo del vecchio Testamento – spesso disprezzato e maltrattato dai Romani, e più ancora dai cristiani trionfanti –, privato del suo Tempio a Gerusalemme e privo di profeti, si sia ripiegato, sotto la guida dei suoi dottori, sulla difesa di ciò che gli restava: il suo Libro. Gli ebrei l’hanno trascritto, fissato, studiato parola per parola lungo tutta la loro vita, perché era la loro ragione di essere e di vivere. Così si è sviluppata, nel più completo isolamento un’immensa letteratura che si appoggia sulla Mishnah, i Talmud di Gerusalemme e di Babilonia, la Halakhah e la Haggadah, e ha prodotto lo sviluppo della Cabala e della mistica ebraica.

Intanto, i cristiani seguivano vie differenti. Probabilmente studiavano anche i libri sacri, ma erano diventati i portatori della civiltà greco-romana. Diventata ufficiale nell’impero, la religione cristiana si trovò esposta a un grande pericolo: il gusto della ricchezza e del fasto, il gusto del potere. Ma parallelamente si è conservato ed evoluto uno spirito di povertà, di semplicità e di umiltà col monachesimo in Occidente, con san Benedetto e la sua regola: vita di ubbidienza, di preghiera, di penitenza e di lavoro.

L’ultimo sconvolgimento avvenuto nello spazio del Mediterraneo medievale fu la rapida conquista di città e di paesi da parte dei “Cavalieri di Allah”. È di nuovo Roger Arnaldez che ci ricorda che “questi Cavalieri, venuti dai deserti dell’Arabia, non erano degli invasori ordinari, semplicemente avidi di conquiste e di bottino (sebbene gli uomini non siano mai liberi da ogni brama); portavano con sé una nuova fede, quella che aveva predicato il profeta Maometto e che si presentava come il richiamo della fede di Abramo, il padre dei credenti, l’amico di Dio”. Bisognava restaurarla, perché gli ebrei e i cristiani l’avevano falsata, dissimulando o alterando le verità contenute nella Torah e nel Vangelo autentici, rivelati ai profeti Mosè e Gesù. Il monoteismo assoluto è affermato dal Corano, parola eterna ed increata di Dio, nel modo più brutale e più tagliente. “Predica, nel nome del tuo Signore creatore” (96,1). L’uomo non deve porre domande né sulle azioni né sui comandi di Dio, perché è Lui, al contrario, che interroga l’uomo (21,23). Ciò che è richiesto ai suoi servitori, sono la rigorosa ubbidienza e la sottomissione alla sua volontà. La parola “islâm” significa precisamente questa sottomissione, e l’islam si presenta come la restaurazione di una verità unica che deve fare l’unità di tutti i credenti. “Dì: – O genti del Libro (ebrei e cristiani), accorrete a prendere una decisione che sia comune tra voi e noi: che adoriamo Dio solo e a Lui non associamo niente; che non ci consideriamo, né gli uni né gli altri, signori, all’infuori di Dio!” Per la semplicità del suo dogma, l’islam può davvero presentarsi come la fede che dovrebbe essere comune ai tre monoteismi: un solo Dio, una sola fede, una sola comunità. La fede, secondo un celebre “hadith”, consiste nel credere in Dio, negli angeli, nei Libri, negli Inviati, nel Giudizio Finale e in quello che è predeterminato nel bene e nel male.

Può sembrare che su un tale credo tutti i monoteismi dovrebbero trovarsi d’accordo, ma di fatto, in quanto religioni positive rivelate, non possono arrivare ad intendersi. I Libri, gli Inviati non sono gli stessi o non sono intesi allo stesso modo.

In un campo, tuttavia, delle convergenze si manifestarono. Nelle tre religioni, l’idea di un Dio unico solleva dei problemi che sono comuni a tutti, e ci sono stati certamente dei legalisti e dei fondamentalisti. Ma la filosofia greca finisce per imporre dovunque delle cornici concettuali, e la logica di Aristotele dei metodi di ragionamento. A Bagdad, nella Casa della Saggezza (“Bayt al-Hikma”), fondata dal califfo Ma’mûn, si concentrò l’eredità filosofica e scientifica di Alessandria. Studiosi ebrei, cristiani e musulmani vi s’incontrarono per tradurre i lavori greci.

Sul piano umano, il volto attuale del Mediterraneo è prima di tutto opera di tre grandi insiemi di movimenti migratori, scaglionati su più di tre millenni. Il primo e più lungo, dell’anno 2000 prima della nostra era fino alla fine delle invasioni barbariche, popola le penisole e le rive del nord; Ittiti, Greci, Italici e Celti da est a ovest; poi, dopo l’insuccesso di Roma nel contenerli, Franchi, Longobardi e Slavi. Il tutto al prezzo di scossoni brutali, d’immense devastazioni generatrici di lunghi declini: nel XII secolo prima della nostra era, la distruzione dei regni achei di Micene e di Argo ad opera di una seconda ondata di invasori greci, i Dori, inaugura un Medioevo comparabile a quello che segue il cedimento di Roma davanti alla spinta dei barbari.

Gli altri due movimenti migratori, sempre secondo Maurice Aymard, sono opera di due gruppi di grandi nomadi, anche se probabilmente più ristretti di numero: Arabi e Turchi. I primi irrompono, a partire dal VII secolo, dai loro riarsi deserti del Vicino Oriente; rovesciano la resistenza indebolita di Bisanzio imponendo in due secoli, da Bagdad a Gibilterra, la loro nuovissima fede e la loro lingua; dilagano anche al nord, occupano la Spagna e la Sicilia, e devastano le coste d’Italia e Francia. Venuti delle steppe fredde dell’Asia centrale, i secondi si installano in Anatolia a partire dal secolo IX; tre secoli più tardi lo stato degli Osmanli riesce a stabilirsi saldamente nei Balcani prima di impossessarsi di Costantinopoli, e poi a sottomettere, fino ad Algeri, tutto l’islam mediterraneo. Istanbul riesce a realizzare il paradosso di diventare, all’epoca di Solimano il Magnifico, la prima città turca, ma anche, allo stesso tempo, la prima città greca, armena ed ebraica… Nessuna traccia, è la verità, di conversione forzata: gli “infedeli” hanno dovunque il loro posto, confermato da una tassa speciale. La cesura fondamentale oppone oramai non il Nord e il Sud, ma l’Oriente e l’Occidente.

Durante tutti questi lontani secoli, le migrazioni hanno fatto la storia e l’unità del Mediterraneo: oggi, esse minacciano di disfarla. Contro questa minaccia si alza oggi la stessa ribellione, la stessa difesa appassionata di identità che corrono il rischio di essere distrutte dal livellamento linguistico, politico ed economico.

Atene e Gerusalemme, sciamando su tutte le coste del Mediterraneo, hanno fondato, con le loro culture filosofiche e religiose, la civiltà del mondo occidentale. Aderiamo alla speranza di Roger Arnaldez, quando ci dice: “Bisogna augurarsi la ripresa di simili contatti tra i pensatori dei tre monoteismi mediterranei, in condizioni che potrebbero essere, oggi, ancora più favorevoli che in passato”. Le nostre culture e le nostre civiltà usciranno molto avvantaggiate dallo stabilirsi di un reale dialogo interculturale tra Oriente e Occidente; un dialogo reale che conseguirebbe, se esse ne trovassero la via, se non l’unità, almeno una riscoperta degli ideali comuni che le animano, e dei valori condivisi che fanno la loro forza e la loro originalità. Ideali e valori la cui patria di origine fu questo antico MARE NOSTRUM che è il nostro bacino mediterraneo.

Lasciamo parlare la storia, per comprendere meglio il senso delle nostre origini e delle nostre tragedie, dei nostri conflitti e delle nostre speranze, e lasciamo suonare la musica, per farci sentire, grazie al dialogo delle voci e degli strumenti, quanto l’infinita ricchezza della nostra diversità musicale “mediterranea” può essere una sorgente inesauribile di emozioni e di bellezza, di dialoghi e di scoperte. Pensiamo, come Amin Maalouf, che “per ridare alla nostra umanità disorientata qualche segno di speranza, bisogna andare ben al di là di un dialogo delle culture e delle credenze, verso un dialogo delle anime. Tale è, in questo inizio del XXI secolo, la missione insostituibile dell’arte”.

JORDI SAVALL
New York, 10-15 ottobre 2011

Traduzione: Luca Chiantore / Musikeon.net

This site is registered on wpml.org as a development site. Switch to a production site key to remove this banner.