BEETHOVEN – Révolution Symphonies 6 à 9

Jordi Savall, Le Concert des Nations

34,99



ALIA VOX
AVSA9946

CD1 : 42′ 06”
CD2 : 64′ 04”
CD3 : 63′ 58”

LUDWIG VAN BEETHOVEN
(1770-1827)
Révolution
Symphonies 6 à 9
Intégrale des Symphonies. Volume 2

CD1

1-5. Symphonie nº 6 en Fa majeur Op. 68 “Pastorale” (1808) 42’06

CD2

1-4. Symphonie nº 7 en La majeur Op. 92 (1811-1812) 39’17

5-8. Symphonie nº 8 en Fa majeur Op. 93 (1812) 24’52

CD3

1-7. Symphonie nº 9 en Ré mineur Op. 125 (1822-1824) 63’58

Sara Gouzy, Laila Salome Fischer, Mingjie Lei, Manuel Walser

La Capella Nacional de Catalunya

LE CONCERT DES NATIONS

Jakob Lehmann concertino

Direction : Jordi Savall

Les Symphonies nº 6 et nº 7 ont été enregistrées du 18 au 21 juillet 2020 et
la Symphonie nº 9 a été enregistrée les 30 septembre et le 1er octobre 2021
à la Collégiale du Château de Cardona (Catalogne).

La Symphonie nº 8 a été enregistrée les 10 et 11 octobre 2020
au National Forum of Music (NFL) à Wroclaw (Pologne).

Enregistrement, Montage et Mastering SACD : Manuel Mohino

TEXTES EN FRANÇAIS, ENGLISH, CASTELLANO, CATALÀ, DEUTSCH, ITALIANO

 

Il genio sinfonico di Beethoven

Un’avventura “eroica”: portare a termine l’integrale delle nove sinfonie di Beethoven ai tempi della pandemia di Covid-19.

Il completamento del nostro progetto dell’integrale delle Sinfonie di Beethoven, cominciato nel 2019 con le prime cinque sinfonie, nel 2020 è stato ritardato dall’espansione della pandemia di COVID-19. Nonostante le numerose difficoltà e le complicazioni dovute alla limitazione degli assembramenti nei luoghi chiusi e ai controlli sanitari obbligatori, abbiamo comunque potuto mantenere attive, nel corso del 2020, la 1a e la 2a Accademia Beethoven 250 per le Sinfonie n. 6 e n. 7, realizzate nel luglio 2020, e anche la 3a Accademia per le Sinfonie n. 8 e n. 9, che abbiamo potuto tenere, come previsto, presso le Saline Reali di Arc-en-Senans. La 4a Accademia è iniziata il 6 ottobre 2020 con il lavoro sui movimenti strumentali delle Sinfonie n. 8 e n. 9, e il 7 ottobre abbiamo cominciato le prove con il coro per il concerto del 9 ottobre e la rispettiva registrazione. Malauguratamente, però, il giorno seguente, l’8 ottobre, quando avremmo dovuto cominciare la registrazione della Nona con le parti corali del Quarto movimento, ci è arrivata la notizia che quattro cantanti del coro si erano ammalati di COVID-19. Superato lo shock iniziale, e consapevoli del serio rischio di esserci contagiati, abbiamo potuto salvare il concerto del 9 ottobre eseguendo solo i tre movimenti orchestrali della Nona, senza il coro, nell’ordine 1, 3 e 2 (come si era già fatto ai tempi di Beethoven), completati con l’esecuzione della Sinfonia n. 7. Il 10 ottobre abbiamo potuto registrare l’Ottava, e l’11 siamo ritornati tutti nei nostri rispettivi luoghi di residenza, dopo esserci sottoposti ai test molecolari.

Purtroppo il giorno dopo per qualcuno di noi (me compreso) il risultato del tampone era positivo, cosa che ci ha obbligato ad annullare tutta la tournée dei concerti previsti nelle settimane successive: Parigi, Barcellona, Amburgo, Milano, Torino, Rimini, Lisbona ecc. È stata una vera e propria catastrofe artistica ed economica (e un duro colpo per il nostro stato d’animo). Fortunatamente, per la maggior parte di noi – non così però per due musicisti colpiti da una forma persistente –, a parte una grande stanchezza e un senso di spossatezza durato tre lunghe settimane, gli effetti della malattia non sono stati gravi.

Nella prima metà del 2021 abbiamo subito ancora in pieno gli effetti globali della pandemia, con molti concerti annullati, anche se abbiamo avuto la fortuna di poter rifare la registrazione completa della Nona, tra il 30 settembre e il 1° ottobre scorsi, subito dopo la nostra 2a Accademia Schubert (Cardona, 26-29 settembre 2021), durante la quale abbiamo registrato le Sinfonie n. 8 (Incompiuta) e n. 9 di Schubert. Questa volta abbiamo potuto includere i cantanti della nostra nuova CAPELLA NACIONAL DE CATALUNYA, formata in primo luogo dai solisti de LA CAPELLA REIAL DE CATALUNYA e ampliata da giovani cantanti provenienti da tutta Europa (secondo lo stesso principio che applichiamo al Concert des Nations), da noi selezionati durante tutto il 2021, nel corso di audizioni fatte a Parigi e a Barcellona.

Ora possiamo dimenticare questi due anni difficili e pericolosi, perché abbiamo finalmente vinto contro la COVID-19. Abbiamo così il grande piacere di presentarvi qui il secondo album del nostro Beethoven Révolution, con l’incisione delle ultime quattro sinfonie, dalla Sesta alla Nona, che completa l’integrale cominciata nel 2019. Un dettaglio divertente: considerato che il giorno della nascita di Beethoven è il 16 dicembre del 1750, logicamente l’anno dell’anniversario è incluso tra dicembre 2020 e dicembre 2021, e perciò con questo secondo album e il nostro concerto al Gran Teatre del Liceu di Barcellona del 15 dicembre 2021 arriviamo perfettamente in tempo per concludere magnificamente i 250 anni di questo grande genio del sinfonismo e della musica.

Il contesto storico e la riforma sostenuta da Beethoven sull’introduzione delle indicazioni di tempo grazie al metronomo di Maelzel.

Il contesto storico: siamo nel 1806, Beethoven ha appena terminato la Sonata per pianoforte n. 23 (Appassionata) e i tre Quartetti Razumovsky. Le sue reazioni di fronte a ciò che chiama il turbinio mondano (un mondo che può diventare veramente ostile a causa del potere assoluto dell’aristocrazia) ci dicono moltissimo dello stato d’animo del nostro compositore, ma anche della sua fiducia nella propria potenza creativa e dell’intima coscienza del suo destino di liberazione. Nel mese di maggio del 1806 Beethoven completa i primi abbozzi della Sesta Sinfonia e si accontenta di incaricare Franz von Brunsvik di abbracciare sua sorella Therese… fraternamente. Non ci sono nuovi amori nella sua vita, o almeno nessuno di cui siamo venuti a conoscenza. Brigitte Massin nel suo Saggio sulla vita di Beethoven ci ricorda che Beethoven «comincia a reagire, nei mesi seguenti, all’insuccesso del Fidelio raddoppiando la propria attività creativa e l’affermazione vittoriosa di sé stesso. Osa persino opporsi ancora di più alla società. In quest’anno in cui prendono forma la Quinta e la Sesta Sinfonia, egli è sicuro di sé quanto mai prima, e se la “cabala” è riuscita a spezzare la schiena alla sua opera, non è però riuscita a fargli dubitare della propria vittoria sul destino». A margine di uno schizzo del Quartetto n. 9, scrive: «Come ti getti nel turbinio mondano, così puoi scrivere nuove opere a dispetto di tutti gli ostacoli che impone la società. Non mantenere più in segreto la tua sordità, nemmeno nella tua arte!». È in questo momento che, a proposito dei tre Quartetti Razumovsky, il compositore afferma la propria fierezza. Quando il violinista Radicati, scandalizzato dal loro carattere rivoluzionario, dichiara che questi quartetti non sono più musica, Beethoven gli risponde tranquillamente: «Oh, questi non sono per voi! Sono per i tempi futuri!». E quando lo stesso Schuppanzigh mette in evidenza le difficoltà d’esecuzione che incontra nel Quartetto n. 7, Beethoven esclama: «Credete davvero che io pensi alle vostre miserabili corde quando lo spirito mi parla?».

Sempre in quest’epoca, verso la fine del soggiorno di quasi due mesi in Slesia, mentre l’esercito prussiano è annientato simultaneamente da Napoleone a Jena e da Davout ad Auerstädt, Beethoven litiga con il suo mecenate, il principe Lichnowsky. Alla fine del suo soggiorno, alcuni ufficiali francesi si trovavano alloggiati nel castello del principe: fu a causa loro che si generò il dissidio che avrebbe portato alla rottura tra i due. Citiamo di nuovo Jean et Brigitte Massin: «Lichnowsky, nel suo desiderio di essere gentile con gli occupanti, si ricordò dal profondo delle sue viscere principesche dei diritti feudali che deteneva sulle proprie terre. I musicisti sono buoni per il piacere, e ci si può permettere il lusso di salvaguardare la loro suscettibilità. Ma quando sono in ballo questioni serie, devono essere trattati come domestici. E Lichnowsky, la cui ineffabile bontà si spingeva fino ad accettare di non disturbare Beethoven quando era in piena attività creativa, quella volta dovette parlare chiaro, e ordinò più volte a Beethoven di suonare qualcosa al pianoforte per i suoi ufficiali francesi. Beethoven ne fu così esasperato che si adirò, rifiutandosi con ostinazione di fare ciò che riteneva essere un lavoro servile. Se non fosse stato per il conte Oppersdorf e qualchedun altro, si sarebbe arrivati a una vera e propria rissa, visto che Beethoven aveva afferrato una sedia intenzionato a fracassarla sulla testa del principe Lichnowsky, che a sua volta aveva fatto sfondare la porta della stanza di Beethoven dove questi si era chiuso a chiave. Fortunatamente Oppersdorf si gettò tra i due […] Secondo la testimonianza di Ignaz von Seyfried, direttore del teatro e amico di Beethoven – che probabilmente assistette di persona alla scena –, la minaccia di Lichnowsky di arrestarlo – minaccia che non aveva nulla di serio – ebbe come risultato che Beethoven fuggì, nottetempo, nella città vicina e, come portato sulle ali del vento, si affrettò a ritornare a Vienna con la posta celere. Lichnowsky aveva parlato chiaro, da principe ereditario del potere feudale. Beethoven gli risponde altrettanto chiaramente. Poco più di vent’anni prima, avendo ricevuto un calcio nel sedere dal conte camerlengo Arco, Mozart era andato via senza proferire parola, fremente di rabbia. Quando arriva nella città vicina, prima di ritornare a Vienna, Beethoven manda un messaggio al suo “mecenate”. Lichnowsky lo riceve, lo legge, lo getta a terra con dispetto ed esce. Il suo medico, il dottor Weiser, restò dietro per raccoglierlo, conservando per noi un testo di eclatante buonsenso: “Principe, quel che siete, lo siete per fortuna di nascita. Quel che io sono, lo sono per me. Di principi ce ne sono e ce ne saranno a migliaia. Di Beethoven ce n’è soltanto uno.”»

La riforma che egli propone nella sua lettera del 23 gennaio 1817 – che spedisce a uno dei suoi editori principali – per disitalianizzare il linguaggio musicale sarà portata avanti. Beethoven sa bene che le vecchie denominazioni musicali non corrispondono più al carattere della sua musica; e in una lettera non datata che scrive probabilmente nello stesso periodo a Hofrath von Mosel, egli insiste tanto sul carattere moderno quanto sul carattere nazionale della riforma da lui caldeggiata. «Mi rallegro cordialmente di condividere il vostro parere su questa designazione dei movimenti, che proviene dalla barbarie della musica; perché, per esempio, vi può essere qualcosa di più assurdo di allegro, che da sempre significa ‘gaio’, quando invece noi siamo spesso ben lontani dall’avere una siffatta idea di questo movimento, sicché il pezzo stesso risulta dire il contrario dell’indicazione? […] altra cosa sono le parole che designano il carattere del pezzo; non possiamo abbandonarle, perché se il tempo è piuttosto il corpo, queste parole si riferiscono invece allo spirito del pezzo. Quanto a me, è da lungo tempo che penso di abbandonare queste assurde denominazioni di allegro, andante, adagio, presto; il metronomo di Maelzel ci offre a tal proposito la migliore opportunità».

Sul piano delle decisioni interpretative più importanti, vi era certamente questa fondamentale questione del tempo sollevata da Beethoven, rispetto alla quale abbiamo una conoscenza esatta grazie alle indicazioni metronomiche che lo stesso compositore ci ha lasciato «al fine di assicurare dappertutto l’esecuzione delle mie composizioni secondo i tempi da me concepiti, i quali, mio malgrado, sono stati tanto spesso ignorati». Nonostante queste indicazioni molto precise dello stesso Beethoven, purtroppo ancora oggi capita spesso che certi musicisti o direttori d’orchestra considerino che queste indicazioni siano di fatto impossibili da applicare nella pratica o che le disprezzino considerandole antiartistiche! È a tale questione che risponde Rudolf Kolisch, quando afferma che «tutti i tempi che Beethoven esige dagli strumenti a corda sono perfettamente eseguibili sulla base della tecnica media di oggi».

Come ho già detto in occasione del primo album, per il nostro lavoro di riflessione e di preparazione di questa nuova interpretazione dell’integrale delle Nove Sinfonie di Beethoven siamo partiti innanzitutto dall’idea fondamentale di recuperare il suono originale e l’organico orchestrale così come Beethoven li aveva concepiti e di cui poté di fatto disporre in quanto formazione costituita dagli strumenti in uso ai suoi tempi. Come già fatto per le prime cinque sinfonie, abbiamo consultato le fonti originali dei manoscritti esistenti, e abbiamo studiato e comparato le fonti autografe, nonché i materiali esistenti relativi alle partiture utilizzate nei primi concerti, così come le edizioni moderne fatte a partire da queste stesse fonti, con l’obiettivo di verificare tutte le indicazioni di dinamica e di articolazione.

Tutto il lavoro orchestrale è stato realizzato con strumenti corrispondenti a quelli utilizzati all’epoca di Beethoven e con un numero di interpreti simile a quello di cui il compositore disponeva per le prime esecuzioni delle sue sinfonie: ovvero, intorno a un totale che va da 55 a 66 musicisti a seconda delle sinfonie. Abbiamo scelto 35 strumentisti provenienti dal gruppo di musicisti professionisti del Concert des Nations, molti dei quali suonano con noi fin dal 1989; quanto ai restanti 25, abbiamo scelto giovani musicisti provenienti da diversi paesi d’Europa e del mondo, selezionati mediante audizioni in presenza tra i migliori della loro generazione. Lo spirito di lavoro che regna nella nostra orchestra è lo spirito della musica da camera, che permette di concedere il massimo dell’attenzione a tutti i dettagli di ogni parte strumentale o vocale, senza perdere di vista la loro funzione fondamentale nella costruzione di ogni movimento.

Fin dall’inizio ci è parso evidente che l’altra questione fondamentale del nostro progetto fosse il tempo di studio necessario per affrontare e portare a termine un lavoro così importante e così complesso. Disporre di un tempo sufficiente e generoso era pertanto una delle condizioni essenziali per riuscire a fare un lavoro approfondito sull’insieme di queste nove sinfonie. Per la riuscita del lavoro e la ripartizione coerente dell’integrale, abbiamo distribuito le nove sinfonie in quattro grandi programmi, con l’idea di prepararli nel corso di due anni. Ogni programma è stato studiato e provato rispettivamente in occasione di due diverse Accademie intensive di sei giorni: in ogni prima accademia, che noi chiamiamo “Accademia di preparazione”, si svolge il lavoro di riflessione, di sperimentazione e di definizione riguardante tutti gli elementi essenziali per un’interpretazione compiuta. Nelle seconde “Accademie di perfezionamento” l’orchestra in generale e ogni strumentista individualmente approfondiscono tutte le questioni fondamentali necessarie alla riuscita di una interpretazione fedele allo spirito di ciascuna opera.

«La musica strumentale di Beethoven», scriveva E. T. A. Hoffmann il 4 luglio 1810 sull’Allgemeine Musikalische Zeitung, «ci apre all’impero del colossale e dell’immenso. Raggi splendenti penetrano nella notte profonda di quest’impero e noi percepiamo ombre di giganti, che si alzano e si abbassano, e ci coprono sempre di più e annichilano tutto in noi, non soltanto il dolore dell’anelo infinito nel quale ogni piacere, appena sorto in note d’allegria, affonda e scompare; ma è soltanto in questo dolore, che si consuma di amore, di speranza, di gioia ma non si distrugge, e vuol far scoppiare il nostro petto in un accordo unanime di tutte le passioni, soltanto in esso noi continuiamo a vivere, estasiati visionari».

«Il nuovo equilibrio dei gruppi strumentali (archi e fiati) – sottolinea André Boucourechliev –, lungi dall’essere messi in luce dalle nostre interpretazioni odierne, è spesso trascurato. L’ipertrofia del gruppo degli archi è una delle inclinazioni più tenaci del “sinfonismo”, e per molti il termine sinfonia si traduce come ‘orchestra di 120 esecutori’. Ignaz Moscheles riferisce che Beethoven temeva più di tutto la confusione e per le sue sinfonie non voleva più di una sessantina di esecutori». Rispettare questo nuovo equilibrio è per noi una questione fondamentale, ed è la ragione principale per cui abbiamo scelto un numero di esecutori simile a quello di cui Beethoven poté disporre nelle sue prime interpretazioni delle sue sinfonie: 18 fiati e 32 archi (10.8.6.5.3), corrispondenti agli strumenti e al diapason (430) dell’epoca. «L’orchestra di Beethoven non è lo strumento di potenza, il portavoce, né tantomeno l’involucro del suo pensiero musicale “orchestrato”: fa corpo con esso, è questo pensiero».

Negli ultimi anni numerosi commentatori, musicologi e critici musicali si sono espressi sull’opera di Beethoven e soprattutto sulle sue sinfonie, ma la realtà è che il mistero del suo genio si esprime solo attraverso la sicurezza dell’atto della creazione così come esso traspare dalla sua opera. Questa energia che ha tanto colpito i suoi successori non è mai stata trasmissibile – se si escludono coloro che, come Bartók, appartengono alla medesima specie di musicisti –, per il fatto che in Beethoven lo stesso atto creativo prende spesso la forma di un combattimento. Egli si è spesso battuto con sé stesso per creare, e la sua opera risulta quindi da un processo di creazione che testimonia di una nuova concezione dell’arte. Ricordiamo che, immediatamente dopo Haydn e Mozart – che avevano portato la sonata, il quartetto d’archi e soprattutto la sinfonia a un livello di qualità totale –, Beethoven si trova in una fase dell’evoluzione musicale in cui lo stile classico raggiunge delle cime ineguagliate. Come indicato molto bene da Bernard Fournier, «comporre dopo i due grandi Viennesi, creatori ognuno a suo modo di un nuovo universo musicale portato a un livello estremo di perfezione, costituiva una sfida la cui importanza sarà a lungo occultata agli occhi dei commentatori da quell’altra sfida che lo stesso Beethoven rappresenterà poi per i suoi successori».

Il paradosso di fronte al quale siamo posti in questo XXI secolo è quello che aveva già esposto più di quarant’anni fa René Leibowitz nel suo Le Compositeur et son double. Lo studioso ricordava «il posto assolutamente privilegiato che occupa l’opera di Beethoven nella vita musicale del nostro tempo (secondo i risultati di un recente sondaggio sui diversi gradi di “popolarità” dei grandi compositori presso il pubblico di appassionati)». Per questo, continua Leibowitz, «si sarebbe tentati di dedurne che pubblico e interpreti danno prova di una presa di coscienza reale e profonda dei valori musicali più autentici, giacché sarebbe fuor di dubbio che questi valori hanno trovato proprio nell’opera di Beethoven una delle loro espressioni più alte e più prestigiose. A dire il vero, una simile deduzione non è certo priva di fondamento, e possiamo dunque verificare che la celebre teoria secondo la quale l’opera geniale finisce sempre per imporsi indubbiamente ha una certa parte di verità. D’altro canto, a ciò si può aggiungere che pubblico e interpreti – ne siano essi del tutto coscienti o no – arrivano inevitabilmente a scegliere come loro opere predilette quelle che lo meritano di più. E invece non si può fare a meno di pensare che il caso di Beethoven è tra i più perturbanti, qualora vi si vogliano applicare le teorie appena enunciate. In effetti, non esiste forse nessun altro compositore che sia stato così costantemente sottomesso a delle tradizioni interpretative false e incongrue, tradizioni che arrivano a deformare e a occultare il senso stesso di opere che godono di una popolarità tanto smisurata […] Situazione quantomai paradossale, perché sembra che si adori qualcosa che si conosce solo attraverso delle deformazioni, e che si deformi sistematicamente qualcosa che si adora».

Il nostro lavoro di ricerca e di interpretazione ha voluto tener conto di tutti questi elementi di riflessione, a partire da un reale ritorno alle fonti e da una concezione originale. L’obiettivo principale, che è quello di proiettare nel nostro secolo tutta la ricchezza e tutta la bellezza di queste sinfonie – molto note e però troppo spesso presentate in una forma sovradimensionata e sovraccarica –, passa per una riattribuzione della loro stessa energia, grazie a un profondo equilibrio naturale tra i colori e la qualità del suono naturale dell’orchestra, che allora era costituita dagli strumenti a corda dell’epoca (corde in budello e archetti storici); dagli strumenti a fiato costruiti in legno (legni): flauti, oboi, clarinetti, fagotti e controfagotti; dagli strumenti metallici (ottoni): sackbut, tromboni e trombe naturali e timpani d’epoca suonati con bacchette di legno. Ne risulta così una brillantezza, un’articolazione, un equilibrio e delle dinamiche rivoluzionarie, che sono alla base di un dinamismo fondato sul rispetto dei tempi voluti da Beethoven e del fraseggio che ne scaturisce, in accordo con le indicazioni di carattere e con la drammaturgia sostenuta dalla potenza spirituale del messaggio che queste stesse opere veicolano.

«Per il suo nuovo potenziale spirituale e per la sua struttura sonora – sottolinea André Boucourechliev nel suo fondamentale libro su questo compositore –, la musica sinfonica di Beethoven supera fin dall’inizio qualsiasi carattere e qualsiasi contesto prestabilito, si lancia alla sua stessa scoperta, e raggiunge – crea, persino – un pubblico nuovo. A questa società in movimento, rivolta all’avvenire, ai desideri imprevedibili, alle istanze non ancora formulate, a questi sconosciuti Beethoven dà ciò a cui essi aspirano senza saperlo ancora, e addirittura senza volerlo ancora. Rapporti nuovi, prove di forza ardite in cui la reticenza e il malinteso convivono con l’esaltazione collettiva […] Quest’eterna avventura di un libero confronto noi la viviamo ancora, pericolosamente, nella musica di oggi. È soprattutto a Beethoven che va riconosciuta la gloria di averla inaugurata». In questa forza rivoluzionaria che portano in sé le sinfonie del nostro compositore, grazie alla voce multipla e potente dell’orchestra scaturisce una veglia perpetua dello spirito creatore, che non esaurirà mai la loro giovinezza.

JORDI SAVALL

Amburgo, 9 ottobre 2021

Traduzione: Paolino Nappi

Critici

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