BEETHOVEN – Révolution Symphonies 1 à 5

Jordi Savall, Le Concert des Nations

32,99


Il ruolo delle sinfonie di Beethoven nella storia della musica è stato messo in particolare evidenza dai numerosi studi che si sono succeduti negli ultimi due secoli. Per il nostro lavoro di riflessione e di preparazione di questa nuova interpretazione dell’integrale delle nove sinfonie di Beethoven siamo partiti da una serie di elementi essenziali che ci hanno ispirato e direi condizionato nelle nostre scelte finali.

 


Il genio sinfonico di Beethoven

Il ruolo delle sinfonie di Beethoven nella storia della musica è stato messo in particolare evidenza dai numerosi studi che si sono succeduti negli ultimi due secoli. Per il nostro lavoro di riflessione e di preparazione di questa nuova interpretazione dell’integrale delle nove sinfonie di Beethoven siamo partiti da una serie di elementi essenziali che ci hanno ispirato e direi condizionato nelle nostre scelte finali.

Prima di tutto, siamo partiti dall’idea fondamentale di recuperare il suono originale e l’organico dell’orchestra così come li immaginò Beethoven, ovvero con un ensemble costituito dagli strumenti in uso al suo tempo. In secondo luogo, era necessario conoscere le fonti originali dei manoscritti giunti fino a noi: per questo abbiamo studiato e comparato le fonti autografe e i materiali esistenti relativi alle partiture utilizzate nei primi concerti, così come le edizioni moderne approntate a partire da queste stesse fonti, con l’obiettivo di verificare tutte le indicazioni di dinamica e di articolazione. Riguardo alle decisioni interpretative più importanti, vi era certamente la questione essenziale del tempo richiesto da Beethoven, grazie alle indicazioni del metronomo che ci ha lasciato il compositore stesso, «al fine di assicurare l’esecuzione delle mie composizioni in qualsiasi luogo secondo i tempi da me concepiti, i quali, con mio rincrescimento, sono stati tanto spesso ignorati». Purtroppo ancora oggi molti musicisti e direttori d’orchestra non ritengono che queste indicazioni di Beethoven, per quanto precise, siano effettivamente realizzabili nella pratica, o le disprezzano perché le considerano antiartistiche! Rudolf Kolish[i] interviene proprio su tale questione, quando afferma che «quantomeno tutti i tempi che Beethoven esige dagli strumenti a corda possono essere eseguiti perfettamente sulla base della tecnica media di oggi».

Tutto il lavoro orchestrale è stato realizzato con strumenti che corrispondono a quelli utilizzati all’epoca di Beethoven e con un numero di musicisti simile a quello di cui disponeva il compositore all’epoca delle prime esecuzioni, ovvero da 55 a 60 strumentisti a seconda delle sinfonie. Ne abbiamo scelti 35 provenienti dal gruppo di musicisti professionali del Concert des Nations, molti dei quali ci accompagnano fin dal 1989; gli altri 20 strumentisti sono giovani musicisti provenienti da diversi paesi europei e del resto del mondo, selezionati tramite audizione tra i migliori della loro generazione.

Fin dall’inizio ci è sembrato evidente che l’altra questione fondamentale del nostro progetto fosse il tempo di studio necessario per approcciare e portare a termine un progetto così importante e complesso. Poter disporre di un tempo sufficiente e generoso era pertanto una delle condizioni essenziali per riuscire a lavorare in profondità con l’orchestra cui era affidata l’esecuzione di queste nove sinfonie.

Per una buona riuscita del lavoro e per una ripartizione coerente dell’integrale, abbiamo distribuito le 9 sinfonie in quattro grandi programmi, con l’idea di prepararli nel corso di due anni. Ogni programma è studiato e provato in occasione, rispettivamente, di due diverse Accademie intensive di sei giorni: in ogni prima Accademia, che chiamiamo «Accademia di preparazione», si svolge il lavoro di riflessione, sperimentazione e definizione intorno a tutti gli aspetti necessari per un’interpretazione adeguata. Nelle successive «Accademie di perfezionamento» l’orchestra nell’insieme e individualmente ogni strumentista approfondiscono tutte le questioni fondamentali per la riuscita di una interpretazione fedele allo spirito di ciascuna opera.

Le sinfonie nn. 1, 2 e 4, programmate e preparate durante la primavera 2019, e le sinfonie nn. 3 e 5, sulle quali abbiamo lavorato nell’autunno dello stesso anno, sono quelle che abbiamo il piacere di presentarvi oggi in questo primo album.

Avevamo previsto di completare l’integrale con le sinfonie nn. 6 e 7, in un primo momento programmate per la primavera, e le sinfonie nn. 8 e 9, da preparare tra agosto e ottobre 2020. Ovviamente in questo momento tutto ciò è stato messo in discussione dalle conseguenze sociali della tragica pandemia nella quale ci troviamo immersi tutti e nessuno sa cosa sarà possibile fare in un futuro incerto; seguendo l’evoluzione della pandemia, vedremo dunque cosa saremo in grado di realizzare della seconda parte del nostro progetto beethoveniano.

«La musica strumentale di Beethoven – scriveva E.T.A. Hoffmann il 4 luglio 1810 nell’Allgemeine musikalische Zeitung – ci schiude l’impero del colossale e dell’immenso. Raggi ardenti penetrano nella notte profonda di questo impero e noi possiamo scorgere delle ombre di giganti che si alzano e si abbassano, avvolgendoci sempre di più e annichilendo tutto in noi, e non soltanto il dolore dell’infinito desiderio nel quale sprofonda e sparisce ogni piacere appena spuntato in note di allegria; ed è solo in questo dolore, il quale si consuma d’amore, di speranza, di gioia, ma mai distrugge, e vuol farci scoppiare il petto in un accordo unanime di tutte le passioni, che noi continuiamo a vivere come visionari in estasi».

Nel testo di presentazione della registrazione delle ultime tre sinfonie di Mozart evocavamo la difficoltà per il pubblico dell’epoca di comprendere questi nuovi capolavori. Queste ultime sinfonie, che forse lo stesso Mozart non potette ascoltare, non sempre sono state comprese al suo tempo e nemmeno dalle generazioni successive. Alla fine del 1790 appariva su l’Historisch-Biographisches Lexicon der Tonkünstler di Gerber questa notizia su Mozart, che spiega il suo isolamento e l’incomprensione mostrata talvolta dagli appassionati di musica della sua epoca:

«Grazie alla sua precoce conoscenza dell’armonia, questo grande maestro si è familiarizzato tanto profondamente e tanto intimamente con questa scienza che un orecchio non allenato ha difficoltà a seguirlo nelle sue opere. Persino gli ascoltatori più preparati sono costretti ad ascoltare più volte le sue composizioni».

«Troppo sviluppo senza finalità e senza effetto, troppi procedimenti tecnici», è la critica di Berlioz alle ultime sinfonie di Mozart. Nel 1788, all’età di 32 anni, Mozart raggiunge la maturità e il vertice sinfonico del suo tempo. Un «giovane» compositore di nome Ludwig van Beethoven prenderà il testimone undici anni dopo (1799), componendo all’età di 29 anni la sua prima sinfonia in do maggiore. Sarà eseguita per la prima volta in concerto il 2 aprile 1800 a Vienna. Difatti il 26 marzo di quell’anno la Wiener Zeitung annunciava che «avendo la direzione del Teatro imperiale messo la propria sala a disposizione del sig. Ludwig van Beethoven, questo compositore comunica allo spettabile pubblico che la data del suo concerto è fissata al 2 aprile. I posti riservati saranno disponibili nello stesso giorno e in quello precedente presso l’abitazione del sig. van Beethoven, Tiefer Graben n. 241, 3° piano…».

Il programma del concerto prevedeva:

  1. Sinfonia di Mozart
  2. Aria da La Creazione
  3. Grande concerto per pianoforte di Beethoven
  4. Settimino di Beethoven
  5. Duetto da La Creazione
  6. Improvvisazione di Beethoven sull’Inno Imperiale di Haydn
  7. Sinfonia nº 1 di Beethoven

La cronaca del concerto apparsa nell’Allgemeine musikalische Zeitung (il 15 ottobre 1800), citata da J.-G. Prod’homme[ii], è un documento unico che ci informa sulla prima impressione provocata da questa nuova maniera compositiva che dava più importanza all’uso degli strumenti a fiato.

«Finalmente – scrive il corrispondente da Vienna della celebre Gazzetta – il sig. Beethoven ha potuto ottenere la sala del teatro per un concerto a suo beneficio che è stato senza dubbio uno dei più interessanti a cui abbiamo assistito da molto tempo a questa parte. Ha eseguito un nuovo concerto di sua composizione assai bello, specialmente nei primi due movimenti. Dopo quest’opera abbiamo ascoltato un Settimino scritto da lui con molto gusto e sentimento. Ha improvvisato in maniera magistrale, e alla fine del concerto è stata eseguita una Sinfonia di sua composizione, nella quale abbiamo ravvisato molta arte, novità e una grande ricchezza di idee. Abbiamo notato tuttavia l’uso troppo frequente degli strumenti a fiato: ne risulta che la sinfonia è piuttosto un’opera di armonia che non autenticamente orchestrale».

«Questo nuovo equilibrio dei gruppi strumentali – sottolinea André Boucourechliev[iii] –, lungi dall’essere messo in luce dalle nostre interpretazioni odierne, è spesso trascurato. L’ipertrofia del gruppo degli archi è uno dei caratteri più tenaci del ‘sinfonismo’, e per molti il termine sinfonia si traduce in ‘orchestra di 120 esecutori’. Ignaz Moscheles ricorda che Beethoven temeva la confusione più di ogni altra cosa e non voleva più di una sessantina di esecutori per le proprie sinfonie». Questo nuovo equilibrio è per noi un aspetto fondamentale, ed è il motivo principale per cui abbiamo scelto un numero di esecutori simile a quello di cui disponeva Beethoven nelle prime interpretazioni delle sue sinfonie: 18 fiati e 32 corde (10.8.6.5.3) corrispondenti agli strumenti e ai diapason (430) utilizzati all’epoca. «L’orchestra di Beethoven non è uno strumento di potenza, o un portavoce, né lo strato superficiale del suo pensiero musicale ‘orchestrato’: essa si fonde con questo pensiero, è questo pensiero».

Ai nostri tempi numerosi commentatori, musicologi e critici musicali si sono espressi sull’opera di Beethoven e soprattutto sulle sue nove sinfonie, ma in realtà il mistero del suo genio si esprime attraverso la sicurezza dell’atto della creazione così come esso traspare nella sua opera. Questa energia, che tanto ha colpito i suoi successori, non sarà trasmissibile agli altri compositori – a esclusione di coloro che, come Bartók, appartengono alla stessa specie di musicisti – per il fatto che in lui l’atto creativo stesso assume spesso la forma di un combattimento. Beethoven si è spesso battuto con sé stesso per creare le sue composizioni; la sua opera è il risultato di un processo di creazione che testimonia di una nuova concezione dell’arte. Ricordiamo che, subito dopo Haydn e Mozart – che avevano portato la sonata, il quartetto di archi e soprattutto la sinfonia a un livello di qualità assoluta –, Beethoven si trova in una fase dell’evoluzione musicale nella quale lo stile classico ha raggiunto vertici ineguagliati. Come ben osserva Bernard Fournier[iv], «comporre sulla scia dei due grandi viennesi, ognuno dei quali era stato creatore a suo modo di un nuovo universo musicale portato a un altissimo livello di compiutezza, costituiva una sfida la cui importanza agli occhi dei commentatori sarà a lungo nascosta da un’altra sfida, quella lanciata ai suoi successori dall’ombra dello stesso Beethoven».

Il paradosso di fronte a cui siamo posti oggi, nel XXI secolo, è quello che aveva già descritto René Leibowitz più di quarant’anni fa nel suo libro Le compositeur et son double[v]. Allora egli ricordava «la posizione assolutamente privilegiata che occupa l’opera di Beethoven nella vita musicale del nostro tempo (secondo i risultati di una recente indagine sui diversi gradi di ‘popolarità’ dei grandi compositori presso il pubblico melomane)». Perciò, continua: «Si sarebbe tentati di dedurre da questo fatto che pubblico e interpreti danno prova di una presa di coscienza reale e profonda dei valori musicali più autentici, perché è fuor di dubbio che questi valori hanno trovato proprio nell’opera di Beethoven una delle espressioni più elevate e prestigiose. Effettivamente una simile deduzione non è affatto priva di fondamento, e possiamo verificare di fatto che la celebre teoria secondo la quale l’opera geniale finisce sempre per imporsi indubbiamente è, almeno in parte, vera. Si può peraltro aggiungere a ciò che – ne abbiano o no piena coscienza – pubblico e interpreti giungono inevitabilmente a scegliere come opere predilette quelle più meritevoli. E tuttavia non si può fare a meno di pensare che il caso di Beethoven, qualora si vogliano applicare ad esso le teorie appena enunciate, è uno dei più perturbanti. In effetti non esiste forse nessun altro compositore che sia stato sottoposto altrettanto costantemente a una tradizione di interpretazioni false e incongrue, tradizioni che arrivano a deformare e distorcere il senso stesso di opere che pure godono di un’immensa popolarità… Situazione quantomai paradossale, giacché sembra proprio che l’oggetto dell’adorazione si dia a conoscere solo attraverso delle deformazioni, e che, sistematicamente, si sottoponga a deformazione tutto ciò che si adora».

Il nostro lavoro di ricerca e di interpretazione ha voluto tener conto di tutti questi elementi di riflessione, a partire dal ritorno alle fonti e da una concezione originale. L’obiettivo principale, che è quello di portare nel nostro secolo tutta la ricchezza e tutta la bellezza di queste sinfonie – troppo note e troppo spesso presentate in una forma sovradimensionata e sovraccarica –, passa per la restituzione di ciò che è essenziale della loro energia specifica, grazie a un equilibrio naturale tra i colori e la qualità del suono naturale dell’orchestra, a quell’epoca costituita dagli archi allora in uso (con corde di budello e archetti d’epoca); legni, ovvero flauti, oboi, clarinetti, fagotti e controfagotti; ottoni, come sackbut, corni e trombe naturali; e i timpani dell’epoca, suonati con bacchette di legno. Il risultato è una luminosità, un’articolazione, un equilibrio e delle dinamiche rivoluzionarie, alla base di un dinamismo fondato sul rispetto dei tempi voluti da Beethoven (salvo qualche rara eccezione) e quelli del fraseggio che ne consegue secondo le indicazioni del carattere e della drammaturgia veicolata dalla potenza spirituale del messaggio.

«Per il suo nuovo potenziale spirituale e per la sua struttura sonora, – osserva André Boucourechliev nel suo fondamentale libro sul compositore[vi] –, la musica sinfonica di Beethoven supera fin da subito ogni carattere e ogni contesto prestabilito, si lancia in una ricerca propria, e raggiunge – crea persino – un pubblico nuovo. A questa società in movimento, rivolta al futuro, ai desideri imprevedibili, alle istanze non ancora formulate, a questi sconosciuti Beethoven darà ciò a cui essi aspirano senza saperlo ancora, e senza nemmeno volerlo ancora. Rapporti nuovi, prove di forza azzardate, dove la reticenza e il malinteso affiancano l’esaltazione collettiva […] Questa avventura perpetua di un libero confronto noi la viviamo ancora, pericolosamente, nella musica di oggi. La gloria di averla instaurata appartiene soprattutto a Beethoven». In questa forza rivoluzionaria che appartiene alle sinfonie del nostro compositore, grazie alla voce molteplice e potente dell’orchestra, assistiamo a una veglia perpetua dello spirito creatore che non esaurirà mai la giovinezza di queste opere.

JORDI SAVALL
Bellaterra, 20 aprile 2020

 

Traduzione : Paolino Nappi

[i] Kolisch, Rudolf. (aprile, 1943), Tempo and Character in Beethoven’s Music. New York, The Musical Quarterly, Oxford University Press

[ii] Prod’homme, J.-G. (1905), Les Symphonies de Beethoven, Parigi.

[iii] Boucourechliev, André. (1963), Beethoven. Collection «Solfèges», Parigi, Éd. du Seuil.

[iv] Fournier, Bernard. (2016), Le génie de Beethoven. Parigi, Éd. Fayard.

[v] Leibowitz, René. (1971), Le compositeur et son double, Parigi, Éditions Gallimard.

[vi] Boucourechliev, André. (1963), Beethoven. Collection «Solfèges», Parigi, Éd. du Seuil.

Critici

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