BAL·KAN Miel et Sang
Hespèrion XXI, Jordi Savall
32,99€
Referència: AVSA9902
- Jordi Savall
- Hespèrion XXI
“Senza i sensi non c’è memoria, e senza memoria non c’è spirito” diceva Voltaire, e noi pensiamo anche che senza memoria e senza spirito non ci siano né giustizia né civiltà. La Musica è la più spirituale fra tutte le Arti, e infatti è l’Arte della Memoria per eccellenza: essa esiste soltanto nel momento in cui un cantante o uno strumentista la fa vivere. È allora, nei momenti in cui i nostri sensi sono toccati dall’emozione e dalla bellezza di un canto o dalla vitalità sorprendente di una danza, che, grazie alla memoria, li fissiamo nel nostro spirito. Momenti insieme intensi e fugaci, che porteranno nel nostro cuore la pace e la gioia o la dolcezza e la nostalgia, e che custodiremo gelosamente nel più profondo della nostra memoria.
“Senza i sensi non c’è memoria, e senza memoria non c’è spirito” diceva Voltaire, e noi pensiamo anche che senza memoria e senza spirito non ci siano né giustizia né civiltà. La Musica è la più spirituale fra tutte le Arti, e infatti è l’Arte della Memoria per eccellenza: essa esiste soltanto nel momento in cui un cantante o uno strumentista la fa vivere. È allora, nei momenti in cui i nostri sensi sono toccati dall’emozione e dalla bellezza di un canto o dalla vitalità sorprendente di una danza, che, grazie alla memoria, li fissiamo nel nostro spirito. Momenti insieme intensi e fugaci, che porteranno nel nostro cuore la pace e la gioia o la dolcezza e la nostalgia, e che custodiremo gelosamente nel più profondo della nostra memoria.
Nel mondo di oggi in cui tutto si comunica all’istante, è l’influenza dominante della globalizzazione una delle cause principali della perdita quotidiana dei ricordi ancestrali; siamo subissati da una valanga d’informazioni, di spettacoli, di offerte ludiche, che favorisce la rapida sparizione delle antiche culture autoctone di tradizione orale. Spesso sono tradizioni musicali uniche, trasmesse nel corso di secoli, da genitori a figli o da maestri ad allievi, e conservate vive fino ai nostri giorni, grazie alla loro partecipazione essenziale alla vita quotidiana delle persone e delle famiglie, e anche grazie alla loro funzione nelle cerimonie e nelle feste celebrative dei cicli naturali della vita dell’uomo e della natura; musiche sopravvissute che hanno aiutato a sopravvivere.
Ma infine il “Progresso” arriva anche in certe regioni dell’est dell’Europa che erano rimaste per più di quattro secoli totalmente al margine dell’evoluzione sociale e tecnica che si sviluppava nella “Grande Europa”. E allora, questa modernizzazione della vita quotidiana ha, come conseguenza, che molte di quelle musiche che erano sopravvissute intatte all’oblio del tempo che passa, sono sul punto di sparire progressivamente, sostituite da musiche più “moderne” e “universali”. Quelle canzoni commoventi, quelle belle danze antiche sono rimpiazzate, poco a poco, dalle musiche globali che sempre più dominano i moderni mezzi di comunicazione: TV, Internet, Radio, Cinema, CD, ecc.
È per questo che il nostro nuovo Libro/CD “Le voci della Memoria” nei paesi del BAL·KAN (“Miele e Sangue”), vuole contribuire a fare conoscere questi repertori a nuovi pubblici, mediante un approccio creativo e insieme rispettoso delle differenze stilistiche originali. Nello stesso tempo, vogliamo rendere un fervente omaggio a tutti quei musicisti, a tutti quegli uomini e quelle donne che con la loro arte sublime e profondamente autentica, continuano a far vivere le musiche della loro vita e dei loro antenati. Noi siamo pienamente convinti che esse costituiscano uno dei più emozionanti e più ricchi patrimoni immateriali dell’umanità. Saranno quindi delle vere “Voci della Memoria” che ci accompagneranno in queste nuove registrazioni e ci porteranno a un affascinante e sorprendente viaggio musicale: un viaggio immaginario, naturalmente, ma intensamente vivo, nel tempo, nello spazio e nei “Cicli della vita” di quest’antica regione d’Europa, che gli ottomani denominarono Bal Kan (miele e sangue) durante la loro invasione nel XV secolo; una regione, ricordiamolo, che era stata, già più di tremila anni fa, la culla stessa della nostra Europa.
Per realizzare il nostro programma, abbiamo invitato e lavorato con 40 cantanti e musicisti di fedi diverse: musulmani, cristiani ed ebrei, provenienti da 14 paesi differenti: Armenia, Belgio (Sinti), Bulgaria, Bosnia, Cipro, Spagna, Francia, Grecia e Creta, Ungheria, Israele, Marocco, Serbia, Siria, Turchia. Cantando come solisti o in complessi, essi ci interpretano un’ampia selezione di musiche tratte dalle numerose tradizioni ancora vive di quell’immenso mosaico di culture musicali che costituiscono i popoli dei Balcani e le loro diaspore zigane e sefardite. Per poterli ascoltare in un ordine poetico e ben strutturato, abbiamo ripartito canzoni e nuove musiche nei sei diversi momenti dei “Cicli della Vita e della Natura”. Questa magnifica idea di Montserrat Figueras, è stata elaborata e realizzata nel corso del triennio 2009-2011, per concretizzarsi infine in un programma di concerto dedicato a “CICLI DELLA VITA: Le Vie della Diaspora Sefardita”, che fu presentato a Barcellona il 31 maggio 2010 e al Festival di Fontfroide il 18 luglio 2011. Grazie a questa struttura vitale, le varie canzoni e musiche strumentali del progetto BAL·KAN si dispongono e alternano in modo molto organico all’interno delle sei parti costitutive del programma:
I. CREAZIONE:
UNIVERSO, INCONTRI & DESIDERI
II. PRIMAVERA:
NASCITA, SOGNI & CELEBRAZIONI
III. ESTATE:
INCONTRI, AMORE & MATRIMONIO
IV. AUTUNNO:
MEMORIA, MATURITÀ & VIAGGIO
V. INVERNO:
SPIRITUALITÀ, SACRIFICIO, ESILIO & MORTE
VI. (RI)CONCILIAZIONE
La scelta delle musiche di questa registrazione è stata fatta sulla base delle nostre ricerche sui repertori sefarditi e ottomani conservati nelle principali città dei Balcani, e soprattutto a partire dalle proposte di vari musicisti e complessi specializzati, come Agi Szalóki, Meral Azizoğlu, Bora Dugić, Tcha Limberger, Nedyalko Nedyalkov, Dimitri Psonis, Gyula Csík, Irini Derebei et Moslem Rahal, che abbiamo invitati a lavorare sul progetto. A tutti va il nostro ringraziamento per il formidabile impegno e le meravigliose interpretazioni musicali che, per la loro varietà e la loro diversità, contribuiscono a dare corpo e valore a questo “Bal·Kan: Miele e Sangue”. Musiche di tradizioni antiche e moderne, musiche rurali e urbane, musiche di celebrazione o d’evocazione: canti e danze di origini molto diverse, che vanno dalla Bulgaria alla Serbia, dalla Macedonia alla Turchia dei confini ottomani, dalla Romania alla frontiera ungherese, dalla Bosnia alla Grecia, dalle musiche sefardite a quelle tradizionali zigane. Vero mosaico, queste musiche sono interpretate sugli strumenti originali di ciascuna cultura: kaval, gûdulka (lira bulgara), tambura, lira greca, kemancha, kanun, oud, tambur, ney, santur, saz, violino e contrabbasso, frula, cymbalom, fisarmonica, organo e chitarra, ecc. L’insieme di queste musiche, completato dalla precedente registrazione strumentale “Spirito dei Balcani”, ci permette di ricostruire una vera mappa multiculturale delle tradizioni musicali di questa ricca parte dell’Europa orientale, che sorprendono e conquistano per la loro vitalità e la loro passione, ma anche per la loro bellezza e la loro spiritualità. Si constata allora come, a dispetto delle caratterizzazioni nazionali dei differenti popoli della Penisola balcanica, molto spesso lineamenti uguali li colleghino al livello più profondo.
* * * * *
L’idea di sviluppare un grande progetto musicale e storico sui popoli dei Balcani e gli esuli della diaspora, zigani e sefarditi, è nata verso la fine del 2011 durante la preparazione del concerto “Omaggio alla città di Sarajevo”, che abbiamo dato al Festival Grec di Barcellona il 9 luglio 2012. Venti anni fa, durante i tragici avvenimenti della guerra di disintegrazione dell’ex-Repubblica della Jugoslavia, questa città ha sofferto un terribile assedio delle truppe serbe: più di 12.000 persone vi sono state uccise e più di 50.000 hanno subito ferite gravi. L’Europa concretamente, e il mondo in generale, risposero con un silenzio assoluto e con la decisione, più che discutibile, di non intervenire nel conflitto, che ebbe come conseguenza il mantenimento del feroce assedio alla capitale della Bosnia per quattro anni (1992-1996). L’intervento internazionale doveva arrivare in modo decisivo soltanto nel 1995, ma intanto più di 20 milioni di chilogrammi di proiettili di cannoni e di mitragliatrici avevano sfigurato ormai per sempre la geografia fisica e umana di quella città. Da tempi molto remoti, essa era stata il crocevia culturale della penisola balcanica dove, in perfetta armonia, le tradizioni del mondo slavo, sia di fede ortodossa che cattolica, si mescolavano con le culture arrivate di recente; come quelle dell’islam dei turchi ottomani – che hanno dominato i Balcani per oltre quattrocento anni – o del giudaismo dei sefarditi, che vi trovarono rifugio dopo la loro espulsione dalla Penisola iberica nel 1492. “Quest’ultima guerra dei Balcani – come segnala Paul Garde – era esplosa improvvisamente, in un’Europa pacificata in profondità da un mezzo secolo e dimentica delle asprezze della storia. Di qui l’incomprensione, il sospetto contro questa regione, e il rinnovarsi degli stereotipi che la descrivono come votata eternamente al crimine e alla sventura”. Ancora considerata “la polveriera d’Europa”, non bisogna dimenticare, come sottolinea Predrag Matvejević, che questa penisola è stata anche “la culla della civiltà europea”. Questa penisola del mondo mediterraneo che si estende dall’isola di Citera a Sud, al Danubio e alla Sava al Nord, ma nella quale, come ricorda Giorgio Castellan, “in effetti, l’olivo non è arrivato a Istanbul, e i paesi bulgari non devono nulla alle brezze del Mediterraneo. Tuttavia, dal Peloponneso alla Moldavia, mentre i paesaggi cambiano, le città e i villaggi presentano dei tratti comuni: ovunque chiese bizantine a cupola, spesso una moschea, e quelle case a sbalzo – çardak – o quelle locande – han –, punto di sosta delle carovane, che si trovano a Patrasso come a Bucarest, a Scutari come a Plovdiv, senza dimenticare le botteghe aperte sulla via, dove l’artigiano, mentre martella un piatto in rame, vi offre un caffè turco. Aria di famiglia? All’apparenza, quella di popoli diversi che, dopo avere vissuto una lunga avventura comune, hanno finito per costituire, all’interno dell’Europa, un’area culturale specifica”. I viaggiatori perspicaci vi coglieranno una certa arte del vivere, una sorta di spirito dei Balcani che sa associare il dolce far niente, la socievolezza e soprattutto il senso dell’ospitalità, un valore essenziale sempre molto rispettato da tutte le società balcaniche, e specialmente coltivato negli ambienti rurali.
Tuttavia, per comprendere bene questa specificità balcanica, bisogna tornare a volgersi alla storia. La caduta dell’Impero Romano, nel V secolo, segnò, nella parte orientale del Mediterraneo, la composizione dell’Impero Bizantino – con la sua capitale Costantinopoli, la più grande e più ricca città dei Balcani per più di mille anni, fino al 1453 – che unificava la penisola sia politicamente che religiosamente, costruendo un lascito di cristianità ortodossa che rimane una caratteristica essenziale di una maggioranza dei paesi balcanici. Pure, dal XVI secolo, tutti i Balcani finivano per cadere nelle mani dell’Impero Ottomano che da Istanbul, fin dal 1453, avrebbe adottato l’atteggiamento tollerante dell’islam tradizionale verso la maggioranza cristiana, in quanto “Popolo del Libro”, purché accettasse il governo musulmano e pagasse le imposte che esentavano i suoi membri dal servizio militare. Questa conquista ottomana porta anche degli sconvolgimenti considerevoli nella geografia umana della regione. Da un lato, essa introduce una terza religione, l’islam, e al tempo stesso causa delle devastazioni e delle migrazioni massicce che hanno per conseguenza una mescolanza inestricabile di popolazioni, di lingue e di culture. Come ricorda Manuel Forcano, è dall’epoca di questa invasione che gli ottomani si riferiscono alla penisola con il nome di Balcani, che deriva da due parole turche, bal e kan, che significano “miele e sangue”. Essi scoprirono non solo la ricchezza della zona – i suoi frutti, la dolcezza del suo miele – ma anche quanto i suoi abitanti fossero coraggiosi, bellicosi e ribelli, perché lottarono accanitamente contro gli invasori.
L’Impero Ottomano comincia a perdere potere alla fine del XVII secolo. Gli austriaci riconquistano l’Ungheria, la Voivodina e la Slavonia. Finalmente, nel 1739, viene firmato il trattato di Belgrado che mette fine a una lunga guerra tra i due imperi. La loro frontiera si stabilizza per un secolo e mezzo sulla Sava, il Danubio e le creste delle Alpi Transilvaniche.
Nel XIX secolo, il sentimento nazionale si sviluppa nell’Europa tutta intera e, in questo slancio comune, tutte le nazioni cristiane soggette ai turchi si rivoltano, una dopo l’altra, contro questi ultimi; la Serbia (1804), il Montenegro (1820), la Grecia (1821), la Valacchia e la Moldavia unite a formare la Romania (1877), e la Bulgaria (1878). Si assiste allora a una rinascita culturale, linguistica e letteraria dei diversi popoli: ungheresi, rumeni, sloveni, croati, serbi. Nel 1912 ha inizio la prima guerra balcanica: Serbia, Grecia, Bulgaria e Montenegro riescono ad allearsi per combattere la Turchia. La seconda prende il via un anno più tardi, con la disfatta dei bulgari; nello stesso momento la Macedonia viene ripartita tra serbi e greci e l’Albania diventa indipendente. Subito dopo, comincia la Prima Guerra mondiale, proprio a proposito dei Balcani, quando l’arciduca Francesco Ferdinando è assassinato, il 28 giugno 1914, a Sarajevo.
Crogiolo di popoli, di lingue, di credi e di culture, i Balcani rappresentano l’immagine più misteriosa di quella “altra Europa” che a causa della sua appartenenza all’Impero Ottomano, è vissuta per oltre 400 anni quasi totalmente al margine delle principali correnti culturali e sociali dell’Europa occidentale. I Balcani sono stati un crocevia molto conteso: allo stesso tempo ricco punto d’incontro e campo di drammatici scontri.
Nonostante i violenti scossoni che segnano la loro storia, e la loro frammentazione linguistica e politica, i popoli dei Balcani condividono sempre un numero importante di caratteristiche culturali e l’eredità del loro passato storico. Sono proprio queste caratteristiche che vogliamo valorizzare in questa registrazione, con i musicisti che abbiamo invitato e che appartengono a differenti culture, religioni e regioni. È con loro che abbiamo approfondito, selezionato, preparato e registrato differenti musiche, in vista di comporre un bel florilegio musicale, nell’insieme antico, tradizionale e popolare, proveniente da questa affascinante e ancora molto misteriosa parte dell’Europa orientale. Siamo convinti che grazie all’emozione, alla vitalità e alla bellezza di tutte queste musiche, si potrà meglio comprendere questo sentimento che amiamo definire come l’immagine musicale di un vero “Spirito dei Balcani”.
Oggi, in Europa occidentale, la cultura “balcanica”, divulgata dai film di Emir Kusturica o dalla musica di Goran Bregoviç, sembrerebbe essere diventata un valore sicuro. I festival di musica dei Balcani si moltiplicano, i concerti della fanfara Ciocârlia o di Boban Markovic fanno il “tutto esaurito”. La musica tradizionale balcanica, o almeno l’idea che se ne fanno gli Occidentali, ha oramai il suo posto nel reparto “world music” di ogni buon negozio di dischi. Si conosce in compenso assai poco il repertorio “meno folcloristico” che non risponde alle proiezioni mentali del pubblico occidentale. Bisogna ricordare che l’essenza della musica balcanica ha subito una forte influenza della cultura rom (vedi l’articolo di Javier Pérez Senz “Musiche con anima rom”, nel CD Lo Spirito dei Balcani), cosa che sembrano dimenticare tutti i musicologi della regione che parlano di musiche “serbe”, “bulgare” o “macedoni”, senza menzionare che le loro fonti e i loro interpreti sono molto spesso “zigani”.
Alcuni dei più grandi musicisti delle differenti culture di questa parte dell’Europa orientale, i solisti di Hespèrion XXI ed io stesso, abbiamo voluto accostarci a questo straordinario legato musicale storico, tradizionale e anche moderno, per studiarlo, selezionarlo e interpretarlo insieme, creando, nello stesso tempo, un vero dialogo interculturale tra queste diverse culture, spesso lacerate da conflitti drammatici e molto antichi.
Il consolidamento della pace in questa penisola è ancora un’impresa piena di difficoltà, molto accentuate particolarmente nelle regioni che sono state le più toccate dalle guerre: la Bosnia e il Kosovo. Ma l’intesa e l’integrazione tra i differenti popoli dei Balcani non potranno essere realizzate che attraverso una vera riconciliazione – simile a quella che è stata compiuta, mezzo secolo fa, tra i popoli francese e tedesco – e l’integrazione di tutti i paesi della penisola nell’Unione Europea. Come sottolinea Paul Garde, “essi non devono diventare europei, lo sono”. Ma “L’angelo della storia” avanza guardando dietro le proprie spalle, il che implica un importante processo di riconciliazione tra le identità e i passati di ciascuno, integrando tutti gli strati della storia balcanica, e particolarmente l’eredità ottomana. Come rimarcano Jean-Arnault Dérens e Laurent Geslin, crediamo anche che “sia in questa riscoperta della loro specifica storia e delle loro molteplici identità, che i popoli dei Balcani potranno ridivenire infine pienamente padroni del proprio destino, pure delineando un altro modo di essere europei; col che non finiranno di sorprendere e di meravigliare gli Occidentali”.
JORDI SAVALL
Padova, 21 ottobre 2013
Traduzione: Luca Chiantore / Musikeon.net
Bibliografia scelta e opere consultate:
– Timothy Rice. Music in Bulgaria: Experiencing Music, Expressing Culture. New York: Oxford University Press, 2004.
– Jean-Arnault Dérens e Laurent Geslin. Comprendre les Balkans. Histoire, sociétés, perspectives. Parigi: Éditions Non Lieu, 2010.
– Georges Castellan. Histoire des Balkans: XIVe-XXe siècle. Parigi: Fayard, 1991.
– Paul Garde. Les Balkans. Héritages et évolutions. Parigi: Ed. Flammarion, Champs actuel, 2010.
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